domenica 16 dicembre 2012

Diario di Pechino - frammenti

6 luglio 2011

Ho ritrovato il venditore di carne di capra – sono fatti alla griglia, cioè dei bastoncini di carne caprina girati sopra la griglia. Stasera ho mangiato in camera: un gran casino, non sapevo come aprire la bottiglia della birra, è fuoruscito un bel po'. Dopocena ho camminato un po', c'è ovunque ancora quel sapore di Pechino che avevo visitato 9 anni fa.

La mia compagna di stanza domani va via per un po', forse nemmeno la rivedrò. Gentile, mi aveva aiutato a comprare il telefonino – non è stato facile nemmeno per lei che è coreana e parla benissimo il cinese. Poi avevamo festeggiato l'evento con caffè annacquato e thé in una minuscola bottega. Il thè era buonissimo, a comprarlo, però, ci ho lasciato un sacco di soldi.


7 luglio 2011

Mi sento soffocare. In tutti i sensi. L'aria condizionata mi toglie il fiato e non si può nemmeno guardare fuori dalla finestra perché c'é la zanzariera.


8 luglio 2011

Sono sofferente. Sento la mancanza dei miei cari.
Ho vissuto la disperazione di chi non può più comunicare con i propri cari.

sabato 8 dicembre 2012

Diario di Pechino - sesta puntata


15 luglio 2011

Ho preparato lo zaino, bello grosso, tutto pronto per la partenza. Prima si va a scuola, anzì, prima suona la sveglia di nuovo alle sei e mezzo perché anche oggi ho tralasciato di studiare un pezzo.

Non ce l'avevo fatta più. Dopo quasi tre ore e mezzo ero arrivata al limite. Dovevo uscire per forza.
Fuori il caldo era opprimente. Sul laghetto dondolavano gentili i fiori di loto. Non soffiava nemmeno un leggero alito di vento.  La traduzione che stavo facendo era semplice ma pur conoscendo gran parte delle parole mi costringevo a fare delle verifiche meticolose. Decisamente non era giornata. M'aveva persino assalita l'idea di bigiare l'ultimo giorno di scuola e di non presentarmi alle verifiche di fine corso. Che figura magra! Mi sono vista denigrata e resa ridicola dal coro insegnanti. No, decisamente non potevo arrivare a tanto.

Per fortuna era arrivata la compagna italiana per fare due chiacchiere. Mi era parso di essere stata di buona compagnia a mia volta e desideravo esserlo davvero. Avevo bisogno di sentirmi accettata, ad onta dell'enorme differenza di età e in quell'occasione mi era sembrato di esserlo. L'indomani si partiva in pullman, anche lei veniva e io speravo di poter condividere la camera con lei durante il viaggio. Certo non l'avrei potuta biasimare se avesse preferito la compagnia di qualche amica coetanea. “Verrà come verrà” avevo pensato.

Intanto ho preparato la macchina fotografica nuova, ho caricato la batteria ben-bene e ho messo via il libretto di istruzioni da leggere durante il viaggio. Avrei voluto portare anche il libro che sto leggendo: Tokyo blues di Murakami. Alla fine ho optato per il libro di traduzioni - in questo campo sono particolarmente malmessa – così non c'era più posto per il libro giapponese.

Diario di Pechino - quinta puntata

13 luglio 2011

Un'altra mattinata di scuola. Dopo un pranzo consumato in mensa con una compagna mi sono blindata in camera a studiare. Aria condizionata a manetta, dalla una alle quattro meno un quarto non mi sono fermata un attimo.

Questo weekend andiamo a fare una gita in pullmann, per la verità ne riempiamo due, meta la Mongolia. La Mongolia Interna, quella che è stata annessa alla Cina.

Oggi briefing generale: vengo a sapere che è inclusa una puntata a Da Tong, località che avrei dovuto visitare nove anni fa quando mia madre è ..... ma lasciamo perdere i tristi ricordi.

Dunque si va anche a Da Tong.  In Mongolia di notte farà un freddo cane, Elena, un'altra compagna italiana, mi ha promesso di prestarmi la sua felpa per l'occasione.

Domattina mi alzo prima, devo ancora studiare un pezzo.

domenica 2 dicembre 2012

Diario di Pechino - quarta puntata



11 luglio 2011

Ieri finalmente mi sono connessa con il resto del mondo, almeno via cellulare. E' stata una grande conquista per me ottenuta grazie alla mia tenacia e caparbietà.

Nel negozio di China Mobile erano in tre a servirmi. Per prima cosa avrebbero voluto spedirmi nel vicino negozio di China Telecom ma io avevo ribadito, con un cinese stentato, che se il giorno prima lui personalmente m'aveva promesso di risolvere il problema non appena avessi portato i 200 yuan richiesti per l'abilitazione della carta, il giorno dopo non poteva spedirmi chissà dove ma doveva darsi da fare e subito. Alla fine ero riuscita ad avere persino un memory card per le foto con lo sconto del 50%, cosa inaudita per quel tipo di merce.

Dunque potevo telefonare.

Per prima avevo chiamato mia sorella in Ungheria che non sentivo da prima della partenza. Lei mi avev richiamata utilizzando una sua carta telefonica, la stessa che usava per chiamarmi in Italia, praticamente gratis. In quella mezz'ora consentita dal suo credito disponibile avevo cercato di raggiungere la velocità massima ad onta del clima che inibisce ogni cosa che faccio. Le avevo raccontato delle lacrime alla vista del mail di mio figlio, le avevo parlato delle mie difficoltà tralasciando solo il fatto che m'era venuta pure la diarrea parsa poco importante al momento.

Oggi quando mi chiamerà di nuovo (me l'ha promessa) la prima cosa che le dirò è che sono stata costretta ad andare in farmacia. Diarrea a tutto gas - iniziavo a preoccuparmi. Grazie a Dio e alle grosse quantità di medicine che ho preso, pare che il problema sia in via di risoluzione.

Oggi dunque mi sento un essere umano. Lo studio è sempre tanto e io c'impiego moltissimo tempo ma al di là dell'interesse per lo studio e la salute avevo iniziato a sentire il gusto della scoperta. Avevo notato l'assenza del cimitero dei personaggi illustri già visto la prima volta che ero stata qui. Al posto suo c'era un palazzo in costruzione. Stasera però avevo scoperto un piccolo luogo che a me era sembrato sacro. Mi era venuta voglia di chiedere agli spiriti del luogo di aprirsi a me che ero lì per conoscerli. Mentre l'umiltà cresceva dentro di me un venticello sospirava tra i fusti di bambù. Avevo poi continuato a girovagare mentre scendeva la sera e la luna quasi piena avanzava verso alto rosso pallido. In quel mio vagabondare avevo scoperto un piccolo gazebo coperto dalla vigna. Tra i rami di un vicino albero saltellavano allegri tre uccelli simili ai ghirlandai. Quando mi ero alzata per andarmen uno di loro s'era messo a protestare a gran voce per il disturbo. Poco più avanti mi si era parato davanti una serra con uno spazio antistante adibito ai lavori di giardinaggio. Montagne di vasi di terracotta erano in pila in attesa di venir utilizzati, pianticelle a diverse fasi di sviluppo dagli appena nati ai pronti ad essere disposti in vaso, intorno buio e silenzio. "Ah, quanto mi piacerebbe fermarmi un annetto a fare l'aiuto-giardiniere" - pensai - "a costo di fare la fame". Con simili pensieri in testa le mie gambe mi portarono al piccolo stadio. Era delimitato da una rete alta con un'unica entrata aperta a quest'ora. Nell'interno, lungo gli anelli per le corse, una quantità di persone era impegnata a fare "attività della salute". Quasi tutti stavano semplicemente camminando, ognuno col suo passo, nessuno controcorrente. Solo pochi s'azzardavano a fare jogging o addirittura a correre. Alcuni aggiungevano degli esercizi blandi, molto ridicoli a vedersi, alzando alternativamente le braccia. Eravamo nel campus dell'università ma la gente veniva da tutte le parti, un po' come quando noi di Milano andiamo la domenica all'Idroscalo a prendere il sole.

venerdì 23 novembre 2012

Diario di Pechino - terza puntata

                                  biglietti d'ingresso a YiHeYuan (Palazzo d'Estate)

9 luglio 2011

Per la prima volta ho dormito a lungo. Mi ero svegliata alle due di notte, poi subito riaddormentata. Sono le nove passate quando finalmente mi alzo.
Solitamente sono sbrigativa, non perdo tempo nel fare le cose. Qui è diverso. Vado avanti e indietro tra la camera e il bagno e tra la camera e il balcone. Tiro fuori una cosa dall'armadio poi di nuovo vado a prendere un'altra cosa. Frugo nella borsa alla ricerca di qualcosa che poi dimentico e quindi torno a prenderne un'altra. Sento che tutto il mio essere ha bisogno di tutto questo tran-tran per abituarsi a qualcosa che non riesco a decifrare. Perdo un'ora e mezza prima di riuscire ad uscire.

Per prima cosa devo sistemare la faccenda del telefonino. E ' nuovo e non sono ancora riuscita a fare una telefonata. Una voce diceva che la scheda non era abilitata alle chiamate internazionali, nemmeno utilizzando le carte telefoniche.

Nel negozio il mio venditore é impegnato con dei clienti ma mi da retta lo stesso. Dopo diverse telefonate viene fuori la proposta definitiva: devo comprare da loro una scheda prepagata specifica e con quello dovrei farcela. Non ho i 200 yuan con me e con ciò la faccenda è rimandata all'indomani.

In borsa ho si e no 70 yuan. Prendo l'autobus e arrivo a Yiheyuan. L'entrata costa 60 yuan. Provo a mostrare la mia tessera universitaria et voila: il costo ora è 15 yuan. Sono contenta come pochi.

Nel parco ci sono tanti edifici. Ovunque esseri umani eccitati e sudati. Donne, uomini, bambini. File alle casse. Guide turistiche col microfono. Passeggini e palloncini. Tutine e cappellini. Tutti vestiti a festa.

Sono fortunata. A Pechino, in questa città di caldo e di smog, è difficile vedere un cielo azzurro d'estate. Eppure da quando sono qui, a parte il primissimo giorno, il cielo sereno resiste. Soffia un venticello fresco dal lago e si sta proprio bene sulla prua del battellino.  E' solo dopo che, ad onta del venticello, sono costretta a versarmi l'acqua sulla testa per resistere.

Uno dopo l'altro visito tutti i luoghi d'obbligo. Ad un certo punto di nuovo mi sfiora l'alito della loro millenaria storia.  Sono seduta su un muretto, leggermente appartata. Sulla mia sinistra un tortuoso sentiero di pietra costeggia il muro del palazzo. Intorno diversi edifici minori nei loro cortili. All'improvviso vedo una serva passare furtivamente per andare ad incontrare il suo signore, suo amante, nel cortile antistante.
Passata la visione mi fermo a pensare come doveva essere regolamentata la loro vita in ogni minuscolo aspetto. Ogni cosa al suo posto. Forse anche troppo regolamentata per i gusti dei nostri tempi.


venerdì 16 novembre 2012

Diario di Pechino - seconda puntata









8 luglio 2011

E' venerdì pomeriggio. Sono rimasta sola in questo enorme campus. Le mie compagne di classe sono scappate via non appena ha suonato il campanello. Non le biasimo, nemmeno io vorrei un adulto tra i piedi durante il weekend. Ho pianto, mi sono lavata la faccia, ho pianto di nuovo e adesso sono calma.
Sono arrivata a Pechino tre giorni fa. Il viaggio è stato lungo ed estenuante ma mi aveva spronata quest'impresa non facile da portare avanti. Io sono talmente abituata alle imprese non facili; direi fin da quando mia madre mi portava in grembo.
Tuttavia le prime mosse sono state inaspettatamente facili, tanto che non mi ero nemmeno accorta di farle, salvo poi quasi addormentarmi in piedi, dopo aver così trascorso circa ventidue ore.
La mia compagna di stanza era oltremodo gentile, tanto che la notizia che per quasi tutto il mese avrebbe lasciato la camera tutta per me perché doveva fare un viaggio, per me non era un sollievo bensì un vero dispiacere. Separarmi da lei appena conosciutesi non mi sembrava fonte di gioia.
Le difficoltà si sono via via accumulate. Il cellulare non era abilitato per chiamate all'estero. Lo stesso cellulare prendeva sì internet ma non permetteva l'uso degli e-mail. Nel campus la maggior parte degli studenti usava il proprio computer, il mio l'ho lasciato appositamente a casa. La carta telefonica che avevo comprato andava bene per i cellulari, salvo per il mio. Un'altra carta telefonica con la quale avrei potuto chiamare all'estero dal telefono fisso in camera era introvabile.
Avevo parlato con mio figlio il giorno dopo l'arrivo e poi nulla. Nessuna notizia ricevuta, nessuna notizia inviata. Niente di niente. Bollivo dalla frustrazione. Intorno a me tutti si divertivano, si scambiavano e-mail, si mandavano sms, stavano ore col telefono all'orecchio. Tutti ma non io.

La notte che la mia compagna partiva avevo fatto un incubo: mio figlio teneva in braccio la mia gatta, Iris. Lei aveva il pelo arruffato ed era grande il doppio. Mi sono svegliata in piena notte col cuore in gola. Mi sono appisolata ed ecco che un brutto ceffo tentava di aprire la portiera della mia macchina. Io avevo schiacciato il bottone di sicurezza ma lui lo aveva aperto lo stesso e mi aveva costretta ad uscire. La trama proseguiva poi in un albergo dove la polizia aveva acciuffato i ladri che alla fine erano diventati tre, due uomini e una donna. Insomma non è stata una notte facile.

C'è stato un altro lungo giorno senza che riuscissi a sentire i miei cari, ma oggi, dopo aver trafficato un ulteriore ora e mezza nell'internet caffè, mi si è aperta la pagina della mia posta e quando ho letto la prima mail di mio figlio una lacrima mi è spuntata senza che me ne accorgessi.

E' sera. Oggi avevo parlato con X e con Y, avevo parlato con mia sorella in Ungheria. Adesso potrò farcela.

Sono andata fuori a cena. In principio ero indecisa tra andare fuori o restare a consumare la cena tutta sola in camera. In ogni caso al super ci dovevo andare, tanto valeva proseguire.
Lungo la strada una miriade di situazioni umane: quelle tristi e depresse della gente che s'affretta a rientrare in casa dopo aver comprato le ultime cose; il nonno che raccatta da terra un lungo pezzo di spago di nylon con cui trascinare il nipotino in groppa al triciclo; giovani e giovanissimi vestiti o malapena coperti di qualche pezzo di stoffa, spensierati, soli o in gruppo; madri con figlie; madri giovani e vecchie, una coppia di anziani ... mentre li sorpasso improvvisamente mi ricordo di pagine della loro storia recente di convulsioni politiche e di guerre; poi ancora anziani e poi gente che traffica con ogni sorta di cosa in mezzo alla strada; poi file di biciclette specie di bici con pedana portapacchi dalle dimensioni inimmaginabili e poi auto e taxi che vanno in ogni direzione quando il semaforo è verde ma anche quando è rosso ed è un miracolo che non succeda mai niente.
E poi c'è il sottoponte male illuminato dove a quell'ora smontano uno specie di mercatino dell'usato di soli mobili, per lo più divani.

Quattro delle più grandi università di Pechino si trovano su questa viale che, non a caso, si chiama xueyuanlu, vale a dire: viale delle università.
Superate tutte quante arrivo al mio quartiere preferito che è riuscito ad evitare la demolizione propagatasi in occasione delle costruzioni per le Olimpiadi del 2008. Qualche trasformazione era stata inevitabile ma è ancora un quartiere bello e vivace. Il mio è un ristorante semplice dal servizio molto “yiban”, cioè ordinario. A me, però, piace per la tranquillità che si respira, per il cibo buono ad un prezzo più che buono e per quello che si vede dalla finestra mentre si mangia.
La gente che passeggia sotto la finestra è decisamente poco formale, l'età media s'alza leggermente, si accoglie sprazzi di discorsi delle passeggiate dopocena concesse per digerire e per tirare tardi. Vedo persino un uomo in pigiama a braccetto con la moglie vestita normalmente. Guardare fuori dalla finestra significa anche essere guardati dalla strada, specie se sei uno straniero, è un piacere reciproco.

A pancia piena il rientro sembra molto più lungo. Mentre cenavo la sera è calata portando un buio pesto. Qui non ci sono tante luci, il minimo indispensabile. I venditori di mobili non ci sono più, trovo invece un carrellino di frutta e un altro di libri. Tra leggere e mangiare ognuno trova il suo, a quanto pare.

sabato 10 novembre 2012

Diario di Pechino 2011

Diario di Pechino  - prima puntata - a lato: simbolo della compagnia aerea disegnata durante il volo

4 luglio 2011 ore 14 di Milano
Siamo partiti con quaranta minuti di ritardo a causa di “eccessivo traffico”. In quei quaranta minuti non ho visto decollare né atterrare alcun aereo. Ma forse ero distratta.
Passati i quaranta minuti siamo decollati, uno dopo l'altro, cinque aerei in pochi minuti.
Il cielo era azzurro opaco. I tre motori sotto l'ala che vedevo dall'oblò diventarono color giallo-oro, un attimo dopo erano rossi per poi cambiare velocissimamente colore: prima rosa e poi grigi. Un tramonto veloce.
Aeroporto di Doha, sera
Ho girovagato per oltre mezz'ora. Non me la sentivo di fare delle compere al duty free, mi mancava la forza e l'energia per farlo. Era presto; avevo oltre cinque ore davanti a me. Il mio volo per Pechino partiva all'una di notte.
Cenare non avevo voglia. Il pranzo l'avevano servito durante il volo dopo le due e mezza quando dalla fame non riuscivo a star ferma. La colazione risaliva addirittura a un'altra epoca, difficile da ricordare.
Niente cena, dunque, almeno per il momento. Dalla galleria avevo intravvisto un paio di turbanti e relativi abiti di un bianco splendente. I signori erano seduti al bar che si trovava più lontano. Subito m'era venuta voglia di andarci. I tavolini in marmo, le sedie imbottite, legno e tappezzerie – tutto era così diverso dal resto. L'aeroporto è il più immenso che abbia mai visto, moderno e del tutto anonimo. Questo piccolo bar era un'eccezione preziosa.
Avevo ordinato un fruit-salad, giusto pronto per il mio palato arso e stavo infilzando il primo boccone di anguria con la forchettina quando avevo visto il prezzo: ventisette euro. Lo sapevo perché avevo prudentemente domandato alla cassa se accettavano l'euro; sì l'accettavano.
Non volevo fare la solita figura da spilorcia ma ventisette euro sono troppi, così l'avevo rifiutato domandando alla cassiera: “Are you sure it costs twentyseven euro?” L'enghippo s'è presto sciolto, il prezzo tradotto era meno di sette euro, così ho rincuorato il giovane cameriere che mi ha riportato il povero piatto.
Aeroporto di Doha, più tardi
Devo aver lasciato due euro di mancia per sbaglio, tenendomi la banconota locale di nessunissimo valore. Sarà stato questo e la mia borsa nepalese new age, fatto sta che un cameriere, si seppe poi che era nepalese, mi aveva dato una dritta: se la coincidenza era così tardi la notte si aveva diritto alla cena gratis. Sarei andata comunque in quella mensa in ogni caso perché servivano delle pietanze dall'aspetto rassicurante. Così, in più, avevo cenato gratis: riso brasmati a volontà e fettine di manzo (poche) in una salsa piccante buonissima, tale che avevo fatto fuori la quantità industriale di riso che m'avevano dato.
Non avevo più una lira locale ma desideravo tanto di scolarmi una bottiglietta di birra analcolica che servivano in quel bar dall'aspetto intimo. Dovevo assolutamente arrivare alle undici – undici e mezzo prima di lasciarmi andare sulle poltrone del mio gate. Erano soltanto le nove meno un quarto, ancora due ore e mezzo e intanto sentivo avanzare l'idea poco confortante del sonno.
Per fortuna anche all'ora della mia partenza ci saranno diversi voli. Dal mio gate partiva uno per Hanoi alla una.
Sotto il finestrone della mensa i pullman vomitano turisti in arrivo. E' una città questa, non un aeroporto. All'improvviso non ho per niente sonno. Fuori ci sono quaranta gradi precisi-precisi, qui dentro a malapena s'arriva a venti. Ho messo lo scialle sulle spalle. Tra la borsa nepalese e lo scialle pachistano (Made in China) sono ben inserita nella fauna presente. Mamme col velo integrale che sgridano le figlie piccole, vestite all'occidentale. Chissà con che occhiata sgridano le figlie quando per gli occhi non vi è che una fessura. Fossi io la bambina le farei delle pernacchie.
Il mio vicino di tavolo è pachistano: naso preciso, occhi che ti risucchiano l'anima. Capelli con la brillantina o senza – sembra non faccia differenza. Ci scambiamo pochi frasi e me ne vado, mi troverà lui più tardi mandandomi un saluto con la mano da lontano. Ha il mio email.
Aeroporto di Doha, più tardi
Alla fine la macchina fotografica l'ho comprata lo stesso. Forse non era il tipo giusto ma era in offerta con più megapixel, memoria in omaggio... , insomma l'ho comprata e basta.
Mancano ancora troppe ore.
La birra più che analcolica sembra un succo. Un succo di frutta con la schiuma. Bello schifo. Pazienza, me la scolo e poi mi fiondo nella camera buia dove ci sono i chez-longue.
Aeroporto di Doha, 5 luglio
Fatto il boarding l'autobus s'affretta verso il nostro velivolo che però non c'è o almeno così mi sembra. Un po' spaventata mi rivolgo agli altri ma loro ci ridono sopra: l'aeroporto è talmente vasto che per arrivare all'aeroplano avrei fatto sei-sette fermate con la cinquanta. Non avrei mai immaginato che l'indomani a Pechino avrei preso lo shuttle per andare a ritirare i bagagli. Non si finisce mai di imparare.



mercoledì 7 novembre 2012

Benvenuto Welcome 欢迎 Sziasztok

Benvenuto a tutti quelli che, per interessi di vario natura, mi seguono.
Questo è la sede dove possiamo parlare di qualsiasi cosa che riguarda la Cina, la sua lingua e cultura, ma non solo.
Welcome to my blog on China, its language and culture! Please, feel free to
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Szervusztok, itt jobbára Kináról fogunk beszélni, de nincs kizárva más, kulturális téma.
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