sabato 25 maggio 2013

Ventisettesima puntata - Diario di Pechino


7 agosto 2011 – Cheng Zhou

Stiamo tornando a casa, cioè a Pechino. In questi giorni ne avevamo viste di cose, ne avevamo fatte di cose a iose.

Segue dal diario del 7 agosto:
La notte porta buoni consigli e caccia via la stanchezza e la depressione.

Era iniziata una nuova giornata, nuove sfide ci aspettavano, nuove promesse.



C'eravamo spostati verso est, a Kai Feng. Qui la dinastia Song aveva operato per la riunificazione della Cina; moneta unica, scrittura unica, unica legge. Più tardi, nel nono secolo, alla corte dell'imperatore c'era un certo Signor Bao, molto amato dal popolo e apprezzato dalla corte per la sua imparzialità e saggezza nel gestire le faccende umane. Parliamo del quinto secolo. I cinesi gli hanno dedicato un intero tempio lungo il lago che porta il suo nome.




La dinastia Song aveva la sua città proibita a Kai Feng. Il palazzo imperiale s'erge tutt'ora su un'alta struttura e  vi si accede per mezzo di una larga e impressionante scala in marmo bianco. Per uscire dal parco dalla porta orientale avevo percorso sentieri in mezzo ai fiori, avevo attraversato un angolo di un laghetto saltando da una pietra all'altra. Come ricordino mi ero comprato un bel disegno su carta di riso: tre granchi in lotta tra loro.






La città di Kai Feng ci aveva riservato un'altra attrattiva: una pagoda, alta 55,63 metri, cotruita nel 1049.

Avevo provato a salire la stretta scala a chiocciola ma ben presto i visitatori che m'avevano preceduta, scendendo, m'avevano costretta a fare marcia indietro. Non ne avevo avuto a male; questi pochi gradini avevano già messo a dura prova i miei muscoli rallentati da tanto studio e poco moto. Il souvenir stavolta era un chicco di riso sulla quale la ragazza aveva inciso, servendosi di speciali lenti di ingrandimento, alcune parole recanti auguri di buona salute, tutto chiuso in una minuscola bottiglietta di vetro.






Il programma della giornata era particolarmente fitto; dopo un pranzo fugace ci aspettava il museo più bello della Cina, a detta della guida locale.

Il museo consta di quattro piani. A me era particolarmente cara l'epoca del bronzo per via delle iscrizioni oracolari che si trovavano sopra. Avevo ritrovato i famosi vasi sacrificali con tre o con quattro gambe recanti alcune iscrizioni difficili da decifrare. Ero ben soddisfatta; ne valeva davvero la pena.












Dal museo eravamo andati dritti-dritti alla stazione.







Le stazioni nelle grandi città cinesi sono delle specie di aeroporti. Prima di accedere alla propria sala d'attesa c'è, oltre al controllo bagagli veri e propri anche il controllo dei biglietti. In effetti, ad onta dell'enorme numero di viaggiatori, di caos neanche ombra.

Il treno è comodo e sebbene viaggiassimo ad alta velocità non si sente rumore e non si registra alcun disturbo. L'agenzia di viaggi ci aveva fornito un pasto a ciascuno: pollo e riso, granoturco e verdurine. Buono e ben caldo.

Accanto c'è il vagone bar. Bevuto una birra ora sono pronta per il rientro.

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